Solita solfa

Copio e incollo una mail che ho appena scritto sulle prospettive economiche e strategiche degli USA. Tutte cose che chi mi legge abitualmente già avrà letto dieci volte. La mail era indirizzata ad un Oggettivista, cioè ad un libertario randiano (difesa dello stato minimo,  tendenza all’interventismo militare in chiave anti-comunista, e ora anti-islamista).

Negli anni ’60 gli USA hanno cominciato a raggiungere un limite per le loro politiche sociali e militari, soprattutto per l’impegno in Vietnam, che Kennedy ha reso disastroso. Hanno deciso di risolvere il problema con una rivoluzione monetaria (1971), ma per una decina di anni il sistema non ha funzionato bene (fino al 1982, circa). Poi è arrivato Reagan, che, con un po’ di liberalizzazioni, ha rafforzato le istituzioni politiche americane. Ciò non toglie che lo stato non conosce equilibrio, ed è continuato a crescere, con il risultato che ora gli squilibri sono più evidenti che mai.

Nonostante il fatto che la leadership USA è stata una manna dal cielo per la civiltà umana negli ultimi 100 anni, considerando che le alternative erano la leadership nazista o quella sovietica, e senza dimenticare che centinaia di milioni di persone in Europa Orientale si sono liberate dalla Russia grazie anche al bluff tecnologico- militare di Reagan, c’è un problema serio, perlomeno nel lungo termine.

Allo stato attuale, gli USA sono destinati a perdere la leadership: consumano troppo, hanno troppi debiti, non risparmiano, sono dipendenti dal credito, e stanno favorendo l’ascesa economica e politica della Cina.

In queste condizioni, l’unico modo per MANTENERE la leadership USA è frenare l’interventismo economico e militare americano: l’esatto contrario di ciò che fa Bush, che ha aumentato debiti, spesa pubblica, coperture sociali e interventi in tutto il mondo (anche se le spese militari sono trascurabili rispetto a quelle sociali, che sono un problema ben più grande).

L’unica politica ragionevole nel lungo termine è una politica liberale: meno stato sociale, meno inflazione, meno guerre, più libero commercio. Altrimenti tra cinquant’anni ricorderemo le cause del declino americano in rapida successione: Wilson per aver creato la Fed, Roosevelt per il New Deal, Nixon per la fiat money, Reagan per aver salvato il sistema nixoniano, Bush Junior per aver attivato una reazione a catena di spese ed interventi che hanno accelerato la crisi.

Tralasciando gli evidentissimi squilibri economici, e focalizzando l’attenzione sugli aspetti strategici, secondo me:

1. Il pericolo islamista esiste, anche se gli USA sono gli ultimi a doversene preoccupare, visto che in Europa il problema è e sarà sempre più evidente;

2. L’idea di "democratizzare" (che parola odiosa!) il mondo arabo/islamico aveva qualche fondamento, visto che tra totalitarismi nazionalisti e totalitarismi teologici il mondo islamico sembra soltanto in grado di danneggiarsi da solo e di danneggiare gli altri. Peccato che una tale politica sia soggetta ad una credibile accusa hayekiana di costruttivismo.

3. Per iniziare la "democratizzazione" , l’idea di scegliere l’Iraq è stata probabilmente una ca$$ata enorme: attualmente l’esercito USA è overstretchato, manca di uomini e mezzi, e ha spianato la strada all’egemonia della teocrazia Iraniana nella regione. E di certo Ahmadinejad non sarà riconoscente a Bush per questo. Forse una approccio soft, incentrato sul miglioramento delle istituzioni anche degli alleati (i cosiddetti "stati arabi moderati", che fanno spesso altrettanto schifo degli altri), e a risolvere un motivo di conflitto (il problema israeliano-palestin ese: c’è da dire che ai leader palestinesi non sembra interessare tanto la pace).

Mentre Nixon, strategicamente, è stato un grande presidente (basti pensare all’apertura alla Cina, che provocò la frattura tra Cina e URSS), Bush ha proposto un piano irrealizzabile, e nel cercare di realizzarlo ha peggiorato la situazione strategica USA anche nel breve termine.

Nel lungo termine, poi, per gli USA, l’Islam è un problema secondario: è alla Cina che devono guardare, e quindi, in seconda battuta, all’India e alla Russia. E ora che hanno occupato militarmente tutti i pozzi petroliferi del mondo, i rapporti con questi tre paesi che faranno? Di certo c’è il rischio che peggiorino.

Insomma, non basta arringare le folle contro un nemico (effettivamente esistente) per essere un grande presidente. Bisogna anche proporre una strada realistica per migliorare la situazione. E Bush, in questo, finora, ha fallito.

P.S. Nella mail davo per scontato che l’idea di esportare la democrazia sia una proposta strategica e non uno slogan propagandistico. Al momento non mi sembra ci siano prove sufficienti per decidere tra le due possibili interpretazioni.

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6 risposte a Solita solfa

  1. retore ha detto:

    Qualche osservazione più storico-ricostruttiva che analitico- previsionale.
    La sostanziale comunanza di valori – e di nemici o rivali (islamisti e cinesi) – ha portato a superare il vecchio paradigma di alleanze nel subcontinente indiano con il trattato sul nucleare che pone le basi di un futuro rapporto privilegiato tra USA e India a spese del vecchio e imbarazzante alleato regionale degli americani (Pakistan), superando resistenze insite nella cultura politica indiana (orgoglio terzomondista) etc., e ostacoli contingenti (la componente comunista del centro-sinistra al governo in India, imperniato sul Partito del Congresso, ha fatto fuoco e fiamme): un successo bushiano che tende ad essere sottovalutato, in un teatro decisivo per il futuro.
    Quanto all’Iraq si sa che il motivo principale della guerra riposa su un coacervo di motivazioni che si sostengono a vicenda, che si possono riassumere nel noto progetto di costruire un nuovo Medio Oriente, rimuovendo uno dei più grossi ostacoli (l’unico passibile di un intervento militare vista la sua natura oggettivamente fuorilegge, con la connessa sussistenza di motivi formalmente validi, e la minorità del regime in termini di consenso interno – il 90 % delle violenze attuali è settaria e alqaidista, non guerriglia nazionalista – al di là delle protezioni offertegli sul piano diplomatico da russi e francesi che hanno complicato la situazione). La natura plurietnica e multiconfessionale del paese, oltre all’ atteggiamento delle due potenze limitrofe (Siria e Iran), estremamente ostile, per motivi comprensibili, agli USA e al loro progetto, hanno assai complicato l’operazione, e non averlo previsto in anticipo è stato il vero errore commesso dall’Amministrazione, ma mi sembra di poter dire che l’Iraq era l’unico candidato possibile. Il coacervo di motivazioni suddetto presupponeva però anche una preminente funzione disciplinare – legata a questioni di sicurezza che sono state accantonate con troppa leggerezza dai commentatori attuali – questioni fondate sul rifiuto americano di uno status quo che vedeva le preoccupazioni degli USA – potenza dominante – (consistenti nella impossibilità per essa nel mondo post 11 Sett. , di tollerare un nemico mortale, che comunque annunciava ai quattro venti di avere brindato al crollo delle Torri, di regnare su un mare di petrolio con tutto ciò che ne consegue), schernite e “giocate” dagli interessi economici di altre potenze sia alleate che rivali. Io contesto un’analisi di corto respiro, legata alla sopravvalutazione della figura di Bush, delle teorie neocon e della loro funzione storica, che si incaponisce a non considerare che la putrefazione della questione irakena (che andava risolta in qualche modo : Clinton preferiva un golpe di un generale sunnita, e quindi un cambiamento soft, interno al plurisecolare dominio sunnita, senza scalfire la natura oppressiva del regime) affondava le radici nel passato e si trascinava da tempo, avendo dato luogo già a contrasti asperrimi in seno all’ UE tra i sostenitori del “reinserimento sociale” di Saddam (Chirac) e i suoi nemici, che da anni facevano politiche opposte (UK: aiuti ai curdi etc.). In USA si era formato un consenso bipartisan tra gli osservatori molto ampio, che escludeva solo una parte della fazione “realista” – non Kissinger – parte le cui politiche, nello specifico del Medio Oriente non solo immorali – e potrebbe anche non essere un problema – ma anche e soprattutto inutili ai fini prefissati, sono state già sperimentate con risultati disastrosi negli anni 50 (Suez etc.: qui un articolo http://www.geocities.com/martinkramerorg/2006_03_17.htm che riecheggia altre pagine dedicate alla storia della politica americana in Medioriente ove si dimostrava che il Dipartimento di Stato imbevuto di queste teorie aveva sempre dimostrato di non capire l’influenza della religione e delle ideologie in tale regione del mondo, dello storico Martin Kramer, allievo di Bernard Lewis, che dileggia gustosamente anche il paradossale “irrealismo” delle eccessive astrazioni di queste correnti di pensiero). La decisione definitiva di imporre alla comunità internazionale la rimozione del regime di Saddam, lasciando ad essa la decisione sui mezzi, – in caso di accordo sarebbero stati pacifici, è bene ricordarlo – è stata presa quando gli USA si sono persuasi che il comportamento di sfida sempre più avventuroso e provocatorio di alcune potenze, segnatamente Russia e Francia – le vere responsabili della guerra a mio parere – che dimostravano con i fatti di schernire gli interessi e i timori dell’egemone, avendo proceduto a STIPULARE CONTRATTI PETROLIFERI SOTTO LA CONDIZIONE SOSPENSIVA DELLA LEVATA DELL’EMBARGO (che si impegnavano a far rimuovere) , meritava una risposta dura : la faglia tra “volenterosi” e difensori dello status quo riproduceva gli schieramenti del decennio precedente sulla questione irakena, incancrenita a causa proprio dei guasti (ohibò) del multilateralismo – che ha causato danni enormi anche nel teatro centro-asiatico, spingendo gli americani ad appaltare i loro interessi a mandatari regionali che li hanno spesso manipolati (Pakistan) – multilateralismo oggi invocato come panacea di tutti mali ( nel ’91, al termine della I guerra del Golfo, Saddam rimane al potere per volontà di Turchia, Francia e Arabia Saudita, la cui richiesta viene accolta con favore da Bush senior, lieto di mostrare, secondo lo schema dei vari Walt e soci, la dovuta BENEVOLENZA DELL’EGEMONE, sperando per altro che il dittatore si ritirasse in penosa meditazione, pronto ad essere perdonato. Il riduzionismo positivistico di queste teorie che non contemplano la psicologia del megalomane e i sentimenti umani di stampo paranoide è stata smentita poco dopo: Saddam tenta niente di meno che di assassinare il suo riluttante salvatore Bush senior in Kuwait, e comincia a nutrire un odio inestinguibile per gli americani: il resto è storia, di balletti decennali di ispettori cacciati e riammessi, di gigantesche frodi ai programmi Onu, di gite pacifiste, di “viaggetti popolari al termine della notte” della propaganda, e, fattore decisivo, di operazioni di rilancio in grande stile con i contratti di cui si è detto, il cui significato geopolitico e non solo petrolifero ha secondo me favorito la guerra rendendo impossibile una rimozione pacifica del regime, a causa della protezione accordata da Russia e Francia, non capaci di salvare Saddam, ma in grado almeno di rendere alto il prezzo della sua cacciata in termini materiali e di immagine (la guerra) per gli americani; la mala gestione del dopoguerra ha fatto il resto, ma le responsabilità primarie dei paesi citati andrebbero ricordate. Per finire però vorrei sollecitare la consapevolezza che la situazione sul campo sembra disastrosa rispetto alle aspettative irrealistiche di partenza, ma non rispetto alla dimensione dei cambiamenti epocali determinati in Iraq e nell’intero mondo arabo, che comunque spostano i termini – nel lungo periodo- della supremazia in campo sciita, costituendo una potenziale alternativa all’Iran, presumibilmente meno ostile all’occidente: da qui l’incrudelirsi della politica di sterminio di matrice wahabita, che semina morte anche nei funerali – per altro già osservata in Pakistan, sempre ai danni degli sciiti, in assenza di truppe straniere – e le interferenze iraniane volte a costituirsi un potere amico all’interno del paese, che si scontra però, per la sfortuna degli iraniani, sulla tradizionale rivalità tra arabi e persiani a prescindere dal credo religioso. Chi vivrà vedrà…

  2. Libertarian ha detto:

    La notizia sull’India mi era sfuggita. Invece ho letto di reazioni sunnite in risposta all’iperattivismo iraniano che sono interessanti, anche se addirittura la concessione dello spazio aereo a Israele, come riportato dai giornali, sembra inverosimile.

    Il problema della guerriglia in Iraq è che è… guerriglia. Secondo Kissinger, uno dei rari esempi di guerra vittoriosa contro la guerriglia è stata la campagna inglese in Malesia negli anni ’50, con guerriglieri isolati e senza rifornimenti. In tutti gli altri casi (vietcong riforniti attraverso il Laos), la guerriglia si è rivelata difficile da sconfiggere.

  3. Wellington ha detto:

    La concessione dello spazio aereo a Israele sarebbe verosimilmente “ufficiosa” e probabilmente accompagnata a livello ufficiale da strali sulla violazione dello stesso da parte degli infidi giudei. In ogni caso al momento tutto questo parlare di attacchi aerei è puro mostrare i muscoli. Fa parte della diplomazia.

    In quanto alla guerriglia, è corretto dire che rappresenta un problema veramente serio solo in presenza di santuari oltre confine e appoggio logistico esterno (nel qual caso però sarebbe da discutere il motivo per cui dovrebbe essere ancora definita “guerriglia” nel senso insurrezionale del termine, quando invece sarebbe a tutti gli effetti una guerra d’attrito a lungo termine condotta da potenze militarmente e politicamente “intoccabili” tramite agenti terzi), tuttavia sostenere che è imbattibile è un’affermazione piuttosto azzardata.

    Più in generale direi che la definizione strategica comunemente usata di “guerriglia” è talmente larga che risulta di fatto difficile sentenziare che sia sempre efficace per il solo fatto di essere guerriglia. Oltre all’ovvio fattore che nessun tipo di guerra nella storia ha dimostrato di essere “sempre efficace”.

    Inoltre Kissinger scriveva in epoca di guerre post-coloniali in cui molte guerriglie effettivamente si assomigliavano, come pure era egualmente diffusa l’incapacità a farvi fronte delle varie potenze coloniali in via di decadenza, ma di fatto se guardiamo alle varie “guerriglie” della storia non si capisce bene che cosa abbiano in comune a parte forse l’utilizzo a livello tattico di tattiche “mordi e fuggi”. Una valutazione di caso in caso è irrinunciabile.

    Per esempio quella che vediamo oggi in Iraq mi pare più violenza politica su larga scala che guerriglia nel senso operativo e strategico del termine. Perquanto a livello tattico la guerriglia sia sempre presente.

    Tuttavia la particolare posizione strategica sia dell’Iraq che dell’Afghanistan (rispettivamente Iran, Siria e Arabia e Iran e Pakistan ai confini) potrebbe effettivamente rendere verosimile lo scenario descritto da Kissinger. Bisogna dire che come roccaforti da stabilizzare nel medio oriente gli USA sono capitati con quelli che sono storicamente due stati-cuscinetto mica da ridere.

  4. retore ha detto:

    Il grosso del problema in Iraq sono le stragi settarie ormai dilaganti, poi è chiaro che la situazione generale resta grave, e irrisolvibile se non si affronta (come non lo so) il problema dei paesi limitrofi che lo destabilizzano dall’esterno: non aver impiegato mezzi adeguati sin dall’inizio, ignorando questo problema (controllo delle frontiere etc.), come se l’unico obbiettivo militare fosse la sconfitta dello scalcagnato esercito saddamita, è stato imperdonabile, e Rumsfeld rimane uno dei peggiori segretari alla difesa di sempre.

    PS
    in generale volevo solo dire che il disimpegno proposto da destre antisioniste tipo quelle Walt Mearsheimer etc (escludere sentimenti antisemiti in tali posizioni con troppa nettezza, come fanno alcuni ammiratori di tali teorici è rischioso, vista la presenza di tali tendenze in una parte della destra americana sin dal primo novecento)non è una soluzione, è stato già sperimentato, e si fonda sull’ingenua credenza che l’odio arabo-islamico derivi da fatti oggettivi: il paese dove alberga più furioso è il Pakistan che è stato un formidabile beneficiario delle politiche americane.Esso in realtà si spiega come frutto dell’ alienazione per il fallimento della loro civiltà di fronte all modernità, di fronte ad un passato glorioso: inchieste demoscopiche hanno dimostrato che nel terzo mondo i cittadini interrogati sulla loro arretratezza tendono ad incolpare “altri” della loro condizione solo nei paesi arabo-islamici, dove il vittimismo paranoide ha assunto ormai forme nazistoidi.

  5. Wellington ha detto:

    Già sai quanto io sia d’accordo con le idee espresse nel tuo PS. Quell’articolo di Kramer l’ho segnalato ad amici come “handy”. Infatti rappresenta un’ottimo riassunto breve della vera storia delle relazioni USA-Israele e della politica USA in MO. Quella che troppo spesso si vede in giro oggi, e che il più delle volte presenta Israele come una creatura degli USA o dell’Europa, è pura fantastoria.

  6. retore ha detto:

    @Wellington
    Anche Carlo Panella, ha scritto cose simili assai condivisibili in un ciclo di articoli per il Foglio: con tutto il loro “realismo” (che io non disprezzo affatto purchè non sia semplicistico) e la loro devozione alle esigenze dei profitti delle sette sorelle la politica filoaraba dei fratelli Dulles ha fatto disastri in Medio Oriente, favorendo la penetrazione sovietica con l’illusione di contrastarla.

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