Festival della letteratura

Sono appena tornato, dopo pernottamento a Bergamo, da Mantova, dove ho visto un po’ di festival della letteratura. Mantova è una città molto bella e io non ero mai stato così a Nord: al massimo ero arrivato a Lerici.

Mantova pare sia l’unica città della Lombardia ad essere di sinistra, e penso di poter confermare questa idea. Il festival della letteratura sembrava la festa dell’Unità. Però c’è da dire che io ho concentrato la mia attenzione proprio su alcune manifestazioni particolarmente politiche. Anche perché, notoriamente, "la letteratura m’arimbarza".

Boris Pahor

Pahor è uno scrittore sloveno di nazionalità italiana, che fu imprigionato in un campo nazista durante la guerra.

Il suo racconto è stato interessante, e, nonostante i suoi 93 anni, era brillante e anche divertente, nei limiti del possibile, dato l’argomento.

Su questo incontro ho solo una cosa da ridire: sul piano teorico, che non era lo scopo comunque dell’incontro, il concetto di "genocidio" è stato usato a casaccio. Chiudere le scuole slovene di Trieste non è genocidio. Uccidere un milione di tutsi in quanto tutsi è genocidio.

Invece Pahor faceva un po’ di confusione tra campi di prigionia per lavori forzati (ad alta mortalità) e campi di sterminio (simili per mortalità, ma non nello scopo), tra episodi di genocidio e semplici massacri (non ricordo quale esempio).

Comunque, il tutto è stato interessante.

Serge Latouche

Sono venuto con l’idea che Latouche fosse una nullità e sono andato via con i miei pregiudizi confermati e rafforzati.

Latouche è stato introdotto da Bonomi, che se possibile è stato ancora peggiore. In quasi mezz’ora di presentazione, forse di più, Bonomi ha ripetuto tutti gli slogan dell’Estrema Sinistra eternamente infantile e incapace di evolversi: "Avere dei sogni", "Un altro mondo è possibile", "Ideologia consumista". E’ stato così verboso che la platea l’ha zittito, ma poi ha continuato. Di fatto, vivere di sogni e non vedere la realtà. Lo slogan avrebbe potuto essere: "non sporchiamo i sogni con la realtà". Ma uno slogan del genere implicherebbe un minimo di autoironia.

Latouche è completamente indifferente alla verità, come ogni bravo populista. Il filosofo americano Frankfurt direbbe che dice "stronzate", ma il concetto filosofico in questione è troppo scatologico per i miei gusti. L’idea, comunque, quella è.

Ha detto ad esempio che le lampadine sono ad obsolescenza programmata e durano 1000 ore. Questo significa che ogni famiglia dovrebbe cambiare il 50% delle lampadine di casa ogni 4-5 mesi. Pazienza.

Latouche ha usato un solo argomento, nel suo soliloquio. Ha detto che siccome l’offerta, se aumenta, riduce i prezzi, se si lavora di meno si guadagna di più. Latouche confonde le funzioni convesse con quelle decrescenti, o la derivata prima con quella seconda. Il fatto che diminuisca la produttività marginale, e quindi i salari, non implica minimamente che diminuiscano i redditi, con l’aumento dell’orario di lavoro. Pazienza. La platea si è alzata con l’idea, che probabilmente nessuno era in grado di analizzare con cognizione di causa, che se si lavora di meno si guadagna di più.

Comunque, alla fine Latouche non vuole imporre le sue idee… vuole fare moralismo e insegnare a tutti come vivere, criticando chi lavora. Lui può permetterselo, del resto. Finchè si rimane sulle prediche io da liberale non ho nulla da ridire. Peccato che chi lo difenda non sia conseguente: se a nessuno è impedito di lavorare part-time, perchè non farlo? Un tempo si chiamava ipocrisia, ma per me non è un problema. Tanto, finchè non viene imposta con la forza, l’ipocrisia è una chiacchiera.

Latouche se la prende con gli africani che invece di seguire le sue idee vogliono la crescita. Che strano! Forse che Latouche, dall’alto del suo conto in banca, può permettersi l’ozio, e gli africani no? Se la prende anche con le aziende italiane che mettono industrie in Romania: che forse i rumeni non hanno il diritto di vivere meglio? Egoismo spacciato per solidarietà. Come al solito.

Latouche ha concluso difendendo i genocidi. Ha detto che i diritti umani sono una schifezza occidentalista e lui non vuole essere universale, perchè la radice è "uni", mentre lui è "pluriversale", che non significa nulla, ma che importa? Il suo esempio: la guerra in Iraq. Quindi, un regime che usa il gas per sterminare migliaia di civili disarmati è "pluriversalmente" corretto, non criminale.

Intorno a Sarajevo

La sera sono andato a vedere uno spettacolo su Sarajevo. Immagini, monologhi e un pianoforte odiosamente dissonante. Non mi piace il teatro, quindi non saprei che dire. Ma tre dettagli mi hanno fatto pensare.

Il primo era la storia di una signora bosniaca ma non musulmana che se la prendeva con i bosniaci musulmani suoi vicini perché "avevano causato tutto ciò". La cosa è psicologicamente molto realistica: mi chiedo però con disgusto perché invece di prendersela con i responsabili, i serbi e i croati, la natura umana preferisca prendersela con l’ultima ruota del carro. Ovviamente la risposta è la mancanza di palle: è facile prendersela con vittime inermi. La conseguenza politica è che le vittime rimangono politicamente disorganizzate.

Il secondo è l’immanente critica del contrabbando di armi e di cibo. Serbi e croati erano armati dai loro stati: il contrabbando di armi era l’unica speranza per i bosniaci. Alla fine non avevano i soldi per comprarle, ma sicuramente il contrabbando avrebbe potuto ridurre lo squilibrio di forza. Dopo la chiusura di una galleria, inoltre, Sarajevo era isolata e non si potevano avere rifornimenti: i prezzi dei generi alimentari hanno cominciato ad aumentare. Questo è un fenomeno salutare: invoglia a fare scorte e consente di ottimizzare l’allocazione delle risorse. Non c’è nulla di male, se uno capisce la logica sottostante.

Il terzo è che era evidente che il pacifismo è tutta una bufala. Per tre quarti dello spettacolo i bosniaci aspettavano con ansia che il mondo facesse qualcosa, che la Nato o l’Europa intervenisse. L’ultimo quarto di spettacolo mostra invece la tristezza per l’intervento militare. Delle due l’una: o si è pacifisti, e si ringrazia quando si viene ammazzati; o non lo si è, e ci si difende. Inutile intristirsi se si è attaccati, da innocenti. Comunque, il problema non si pone: tutti pacifisti sono pacifisti col culo degli altri. Non vogliono la pace, vogliono essere lasciati in pace.

Giorgio Ruffolo

Sono arrivato tardi a "Un capitalismo ben temperato" perchè ero andato a pranzo con Ismael.

Non mi sarei perso nulla, comunque. Ruffolo mi dà l’aria di essere Tremonti. Identico. Stesso stile argomentativo: mettere assieme dei sintomi, aggiungere un po’ di retorica, arrivare ad una terapia prevedibile: "Ci vuole più potere per lo stato". Ancora di più?

Ruffolo ha parlato della crisi finanziaria, del deficit commerciale USA, e di moltissime altre cose. Senza dare l’idea che,  sintomatologia a parte, fossero chiare le cause di questi fenomeni. Chi ascoltava quindi non ha imparato nulla, perchè non c’è stato il minimo tentativo di diagnosi. E io ho dedicato mesi a cercare di capire questi fenomeni!

Chi propone terapie senza diagnosi non mi ispira fiducia: il teorema del Dr House, da me applicato all’attuale Ministro dell’Economia, ha un più ampio campo di applicazione. Anche perché il mondo dell’ideologia è pieno di sintomi, veri o presunti, è pieno di terapie, in genere errate, e quasi del tutto privo di profondità analitica.

Un’altra cosa che non mi torna è l’analisi sociologica, in termini di fasi dello sviluppo storico, del capitalismo. E basta! E’ ora che la sociologia cominci ad essere una scienza (lo dico senza sapere cos’è la sociologia, quindi non seriamente). Ruffolo critica il determinismo di Marx, e ha perfettamente ragione. Bisognerebbe andare avanti, ora.

Purtroppo l’Italia è un po’ il Terzo Mondo della cultura, soprattutto scientifica. Una battuta su una prefazione di non so quale libro dice che in Italia nessun accademico si è accorto che Smith, Ricardo e Mill sono morti. Nei dibattiti si fa finta che esistano solo i tre "classici", più Marx, e forse, ogni tanto, Keynes. Centoquaranta anni di sviluppi rivoluzionari nel campo della teoria economica non hanno lasciato traccia nel pensiero italiano.

E così si parla di ecologia senza parlare di teorema di Coase, senza il quale si fa soltanto demagogia ambientalista. Si parla di consumismo senza spiegarne le cause. Si dice che il consumismo stimola la crescita quando in realtà, riducendo i risparmi, danneggia le aziende più capital intensive. Si parla della pubblicità come se manipolasse le menti, e nessuno si accorge che le campagne elettorali sono, anche se fosse vero tutto ciò, decisamente più pericolose. Si ha una fiducia religiosa, nel senso di inattaccabile dalla logica e dall’esperienza, nelle virtù salvifiche della democrazia. Che pizza.

Meglio di Latouche, certo. Ma non sono del tutto convinto che la differenza sia abissale.

Il dibattito è stato lungo, ma altrettanto sterile. Qualcuno gli rinfacciava l’essere stato craxiano (grande critica! chi non lo è stato?). L’unica domanda interessante è "Perchè se Sensi e Pininfarina muoiono le azioni salgono?". A questa domanda non ho una risposta. Me l’ero chiesto ma poi non avevo approfondito. Una mia spiegazione è che le aziende erano gestite inefficientemente e la morte del proprietario avrebbe facilitato il takeover da parte di gruppi dirigenziali più efficienti. Non so se la stessa cosa accada in economie con mercati finanziari più sviluppati e meno familistici. Non sono convinto della mia spigazione perchè non so se le aziende fossero gestite male. Però è una spiegazione: la differenza tra questa e la domanda è tra capire le cause e fare moralismo.

Dopo il marxismo la sinistra sta ancora cercando delle idee decenti. Non ha più una cultura, e in questo è diventata indistinguibile dalla destra. E’ rimasta la convinzione di averne una, ma tutto ciò è patetico.

Bernardo Atxaga

Questo narratore spagnolo, anzi basco, che non conoscevo, come del resto tutti i narratori di tutte le nazionalità, ha detto cose molto sensate e condivisibili.

Parlava in spagnolo, si capiva tutto, poi la traduttrice, non so come facesse, traduceva al volo 2-3 minuti di intervento saltando solo qualche aggettivo. Probabilmente stenografava.

Le domande che si pone Atxaga sono state importanti e interessanti per chi, come me, è fissato col fanatismo politico. Cosa può spingere due fratelli ad ammazzarsi a vicenda per una cosa stupida come la politica (guerra civile spagnola)? Come fa il fanatismo politico a passare sui cadaveri di ogni tabù della civiltà umana (non uccidere, non stuprare…)? Perchè l’ETA è nata dopo la democrazia, quando i baschi hanno cominciato ad essere liberi, e non durante la dittatura, quando non potevano parlare? Che senso ha la sua esistenza? Perchè un 10% di baschi estremisti sono in grado di tenere in ostaggio il 90% della popolazione con il loro terrorismo?

Questa è una domanda fondamentale. La follia politica ha prodotto morti durante le guerre di religione, la Rivoluzione Francese, tutto il XX Secolo. In tutti i continenti. Con tutti i mezzi, dalle camere a gas ai machete degli Hutu. E la logica dell’integralismo è stata probabilmente la stessa in tutti i casi.

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11 risposte a Festival della letteratura

  1. topinamburs ha detto:

    Resoconto interessante, grazie.

    Sui baschi dissento. Rivendicare l’autodeterminazione non è essere estremisti. Mettere le bombe per avere il diritto di governarsi nella propria lingua non è estremista. Estremisti e incivili sono coloro che non consentono l’autogoverno basco, ovvero gli spagnoli. Durante la dittatura l’ETA non esisteva per lo stesso motivo per cui gli Afghani hanno fatto fronte comune contro britannici e russi.

  2. cachorroquente2 ha detto:

    Sinceramente, non so (nel ’92, data di inizio dell’assedio di Sarajevo, avevo 10 anni) quali fossero le posizioni dei pacifisti all’epoca. Il comportamento della comunità internazionale, a riguardarsi un po’ la storia, fu sicuramente inqualificabile.

    In particolare, fu vissuto a quanto pare dagli abitanti di Sarajevo come un tradimento il comportamento di Mitterand, che visitò la città ma poi portò avanti l’idea di trattare la situazione come una calamità naturale e non un’aggressione militare; insomma aiuti alimentari mentre i cetnici sparavano sui passanti.
    Alla fine la NATO fece l’unica cosa che si poteva fare (pare soprattutto per volontà del buon Clinton): bombardare le postazioni serbe e abbattere qualche aereo. Io mi considero fondamentalmente pacifista (perchè nella mia esperienza storica l’opzione bellica è spesso un comportamento disadattativo) ma, come si suol dire, cum grano salis; in questo caso non serviva colpire indiscriminatamente i civili, e non è stato fatto.

    Non saprei dire il motivo di questo comportamento; forse non irritare il vecchio orso russo. Non penso che l’opinione dei pacifisti contasse molto, dopo tutto erano riusciti a far digerire abbastanza bene l’intervento in Iraq (l’opposizione del PCI fu, se non mi sbaglio, all’acqua di rose). Nel complesso, gli interessi economici e politici in gioco erano piuttosto scarsi (se non forse per i giochi pro-Croazia della Germania).

  3. Libertarian ha detto:

    #1: lo scrittore parlava di un 10% di estremisti. evidentemente il 90% rimanente non vuole quei mezzi. Non so quanti vogliano l’indipendenza. magari meno della metà.

    #2: in effetti ho ragionato con un occhio all’Iraq.

  4. retore ha detto:

    Mantova è proprio bella, (poi c’è il palazzo ducale e il palazzo del Te che meritano una visita per gli affreschi etc. – e i Gonzaga furono committenti di Monteverdi, dando impulso alla musica tardo rinascimentale con spirito di veri mecenati)

    Latouche lasciamolo perdere che è penoso.

    Quanto all’Eta sono d’accordo con lo scrittore citato: trattasi di movimento incline alla violenza totalitaria che uccide e tagliegga gli stessi cittadini baschi che non condividono il suo programma (e che non hanno mai votato se non in minoranze trascurabili per il suo braccio politico, Batasuna, preferendo il partito nazionale basco, di ispirazione democristiana tra l’altro che aspira all’indipendenza con mezzi pacifici).
    Però mi sembrava che l’Eta avesse fatto saltare per aria (a buon diritto in quel caso) un pezzo grosso del regime di Franco – addirittura il suo delfino l’ammiraglio Blanco, nei primi anni settanta credo – e quindi pensavo che fosse già attiva negli ultimi anni della dittatura, boh…

  5. HagenRoy ha detto:

    Ammazza, che menu…al confronto, quello del ristorante era un leggerissimo antipasto. Burp!

    Il discorso sulle derivate prime e seconde, fatto anche a tavola, mi incuriosisce ancora di più sulla funzione che lega ore lavorate e redditi. Dov’è che ne parlavi più specificamente?

  6. Libertarian ha detto:

    #4: non mi intendo di ETA. però mantaova è proprio bella.

    #5: il ragionamento è semplice.

    Se la produttività marginale (la derivata della produttività totale) è decrescente, l’aumento della produzione è “mneo che linearmente” crescente con le ore lavorate. la produttività è convessa, quindi.

    Siccome i salari dipendono dalla produttività marginale, i salari si abbassano se si lavora di più.

    Ma finchè la produttività marginale non è negativa, è anche vero che chi lavora di più guadagna di più in termini assoluti, non di reddito.

    Il reddito è l’integrale del salario. 🙂

  7. grizzlyXIII ha detto:

    Confermo che l’ETA esisteva da ben prima di Franco.
    Di Atxaga ignoro che posizioni tenga ma ricordo con grandissimo piacerw “memorie di una mucca” cje ho letto da bambino. Fossi venuto al festival di Mantova (per la seconda volta di seguito ho dovuto declinare, lavoro improvviso) mi sarei gettato da J.S. Foer, uno dei miei idoli letterari…

  8. grizzlyXIII ha detto:

    “io non ero mai stato così a Nord”
    Beh, sei stato a Bergamo 😀

  9. Libertarian ha detto:

    Se trascuro questo weekend, la cosa più a nord che ho visto in Italia è stata Lerici o Sestri Levante (non so chi dei due). Poi questo weekend ho visto Bergamo e Mantova: dalla frase pare mi riferisca a Mantova, in effetti. Intendevo dire in tutto il WE.

    Poi vabbè, Aberdeen e Edinburgo erano più a Nord…

  10. alepuzio ha detto:

    Per la sociologia ti devi scordare l’individualismo metodologico: là si ragiona per classi sociali di vario genere.
    Il sociologo francese Raymond Aron nel suo saggio Pensare la storia (ed Il Mulino) dedica 2 capitoli 2 a contrapporre a tale principio l’olismo col solito paragone organo-corpo umano totale.
    Te lo consiglio per i suoi studi su von Clausewitz e la teoria delle relazioni internazionali tramite il concetto di forza e potenza (come Max Weber e Tucidide).
    Mi pare ci sia un suo testo tra gli oscar mondadori di introduzione ai grandi della sociologia (Marx, Durkeim, Pareto, Tocqueville, Weber): può essere utilino.

    ciao

  11. Libertarian ha detto:

    Di Aron ho ora War and Peace ma non ho voglia di leggerlo. In passato ho letto L’oppio degli intellettuali e L’ida di libertà con scarsi risultati, anche perchè è noiosissimo.

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