La fine dell’economia: recensione

Nell’ormai vasta biblioteca dell’ Istituto Bruno Leoni, con le collane "Diritto, Mercato, Libertà" e "Policy", si è ora aggiunta la ristampa di un saggio dell’economista Sergio Ricossa, scritto nel 1986, dal titolo "La fine dell’economia: saggio sull’imperfezione", disponibile alla Libreria del Ponte, online.

Il libro è allo stesso tempo semplice e profondo, erudito* e brillante. Il tema di base, come dice il titolo, è la contrapposizione tra perfettismo e imperfettismo. Il perfettismo, con i suoi sogni di rivoluzione della natura umana, di palingenesi sociale, di fine dell regno dei bisogno, di fine della storia, viene contrapposto all’imperfettismo, che all’equilibrio preferisce l’azione, che sa che la scarsità è ineliminabile, che all’umanità contrappone l’uomo, con tutte le sue specifiche caratteristiche individuali.

Chi ha paura del liberalismo "imperfettista" (Ricossa mantiene per Keynes il nomignolo di "liberale", anche se con l’aggiunta critica dell’aggettivo "perfettista")? L’"aristocratico" che vuole, e può, essere libero dal lavoro, visto che può avere servi, schiavi e privilegi, sarà naturalmente portato a disprezzare il borghese; il marxista, con tutti i suoi abusi della ragione, che vanno dallo storicismo, alla ricerca pratica della società perfetta, ai sogni di fine della storia; ma anche il liberale che crede di poter difendere la libertà fingendo che questa realizzi equilibri generali walrasiani Pareto-efficienti, e che non sia invece un metodo attraverso cui gli uomini cercano di costruire cose che non sono sufficientemente onniscienti da riuscire esplicitamente a progettare, garantendo all’uomo la possibilità di vivere in una società più complessa, ricca ed efficiente di quanto un ingegnere sociale benevolo riuscirebbe anche solo ad immaginare.

Il libro contiene moltissimi spunti di Economia Austriaca, criticando l’abuso del concetto di equilibrio, e l’uso dei metodi matematici, anche se con l’aggiunta di diversi spunti schumpeteriani (l’imprenditorialità come deviazione dall’equilibrio, l’interesse visto esclusivamente come premio per il rischio, e non come premio per le preferenze temporali**).

La bibliografia è ricca, e non contiene i riferimenti a tutte le opere citate nel testo, che sono molte, e appartenenti ad un’infinità di tradizioni culturali. Per tutto il corso del libro si passa dalla filosofia alla teologia, dalla teoria economica alla teoria politica, difendendo l’imperfettismo di Hayek, Popper, Stigler e Einaudi contro il perfettismo di Platone, Marx e Keynes. E’ pressochè impossibile per me analizzare tutti gli spunti e i riferimenti del testo, che, nonostante ciò, è estremamente leggibile, godibile e scorrevole.

Duecento pagine di assoluto buonsenso, contro il costruttivismo, l’utopismo, il perfettismo che caratterizzano gran parte, purtroppo, del pensiero occidentale, e che influenzano, negativamente, il nostro assetto istituzionale.

* Ma si può dire di una cosa che è erudita? Ma che razza di figura retorica è?

** L’interesse continuerebbe ad essere positivo anche se il futuro fosse certo, perchè nessuno si priverebbe dell’uso per un anno di 100$, in cambio della stessa quantità alla fine del periodo, indipendentemente dal rischio di non riceverli, a meno che non agiscano altri fattori, come il voler fare beneficenza al debitore.

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18 risposte a La fine dell’economia: recensione

  1. Wellington ha detto:

    Vabbé, lo so, sono noiso, ma devo ancora una volta tirare in ballo André Glucksmann per sottolineare che il concetto di perfettismo Vs. imperfettismo è presente, anche se sotto altri nomi in molti dei suoi scritti.

    Perfino nel pamphlettistico “Occidente contro Occidente” in cui Glucksmann se ne serve per criticare le attitudine ireniste spacciate per “civiltà” di certi oppositori della guerra al terrorismo.

    Alla civiltà intesa in senso irenistico Glucksmann contrappone la “civiltà-azione” la quale “si oppone non tanto all’assenza di civiltà ma a forze di anticiviltà che minacciano di distruggerla”.

    Fatemi strafare, citazione n°2: “La civiltà è una scommessa. Doppia. Contro ciò che la nega e la minaccia di annichilimento. Contro se stessa, troppo spesso complice passiva o avventata della sua scomparsa”.

  2. Wellington ha detto:

    Diciamo “insistente” o “ripetitivo”. Devo dire che alle volte mi imbarazza citare Glucksmann in continuazione, perchè suona quasi come se fosse l’unico autore che conosco, il che non è vero.

    Il fatto è che è un autore pieno di spunti interessanti. Se lo sai leggere con la dovuta attenzione.

  3. Libertarian ha detto:

    Io sto in fase catalettica… è un mese che devo comprare diversi libri su Amazon e non mi va di fare la fila a Postepay… così Garrison, Jouvenel, Jasay, Glucksmann e altri si allontanano… del resto hoa nche finito lo spazio sulle mensole, e devo comprarle di nuove da Bricofer per metterci i libri. 😀

  4. Wellington ha detto:

    Peccato. Per quanto riguarda Glucksmann, tieni sempre presente la mia proposta di fotocopiarteli.

    E non mi parlare di scarsezza di mensole perchè come minimo mi metto a piangere, io c’ho tutto nelle casse.

  5. ilbuffone ha detto:

    io non leggo una sega, alla facciaccia vostra 🙂

  6. pierinolapeste ha detto:

    Io peggio, leggo ma non capisco una mazza.

  7. Libertarian ha detto:

    😀

    Ho avuto la stessa impressione con gli ultimi capitoli di Opzioni Futures e altri derivati… misure di martingale, mondi neutrali verso rischi diversi e modelli a interesse variabile mi sembrano concetti impenetrabili. E’ la prima volta che mi succede che sto una settimana a ragionare sulla stessa cosa e non ci capisco una mazza.

  8. Professore, quello che a te capita ora per la prima volta (mi riferisco all’ultimo commento), ai comuni mortali come me, capita da quando sono nati 😀
    Io comunque aspetto sempre che qualcuno ti faccia scrivere un libro….
    In attesa, ti consiglio di iscriverti qui:
    http://www.pigiamamedia.com/
    Si tratta di una casa editrice vera, che pubblica post, i quali vengono votati dai lettori, e il più votato ogni giorno, si becca 20 euro… 😉

  9. ilbuffone ha detto:

    io sul profitto la vedo più come ricossa, cioè, fanno bene gli austriaci a ricordare che il prestito, o comunque la dilazione del consumo, ha un costo opportunità.
    Ma questo non ci dice nulla sul suo valore, infatti come ben sappiamo, i beni non hano valore intrinseco, ma hanno valore solo nel momento in cui incontrano i bisogni dei consumatori.

    Quindi il costo opportunità della dilazione dei consumi va a finire insieme agli altri costi aziendali (stipendi ecc…) poi una volta venduti i prodotti, la differenza da il valore creato dall’attività imprenditoriale (cioè dalla capacità dell’imprenditore di rompere l’equilibrio) che per inciso può essere anche negativa, in quel caso si è distrutto valore.

  10. Libertarian ha detto:

    Astro: Stai parlando di profitto o interesse?

    Cam: Su pijama mi informo, ma penso serva paypal. E poi chi mi vota? Sono un settario… 😀

  11. retore ha detto:

    *Una persona di mentalità razionale e scientifica, dal lessico sempre chiaro e dalla prosa scorrevole, non può usare aggettivi come “erudito” impunemente: il Retore, geloso dei sui recenti record di aggettivazioni fiorite e sintassi involute e barocche, eleva formale protesta…

  12. ilbuffone ha detto:

    giusto: parlo di profitto, o meglio del guadagno che ha un capitalista dai suoi investimenti. L’interesse, come spiego, è un bene che non ha valore in se.

    la natura dell’interesse non mi sembra pertinente alla teoria economica, sarebbe come chiedersi se uno si compra l’auto per possederla o come mezzo per spostarsi dal punto a al punto b.

    i motivi per cui la gente vende e compra roba, ovvero i bisogni della gente, non dovrebbero essere oggetto della discussione economica, sono più discussioni markettare.

  13. Libertarian ha detto:

    Come fai a fare teoria economica eliminando il concetto di interesse?

    P.S. La preferenza temporale non è un fattore psicologico, ma logico. Non si può, ceteris paribus, dare valore uguale a due merci identiche ma disponibili in periodi diversi. Sarebbe come dire che impiegare tanto tempo per fare qualcosa sia un bene in sè.

  14. Libertarian ha detto:

    L’interesse è il prezzo del tempo. Togli l’interesse e avrai una teoria economica atemporale, dove non c’è struttura di produzione, non ci sono cicli economici, non c’è nulla… un equilibrio generale walrasiano come succedaneo della teoria economica.

  15. ilbuffone ha detto:

    io non ho detto che l’interesse non c’è, dico che è un prodotto, o un mercato. se è vero che ceteris paribus sono meglio mille euro oggi che mille euro domani, non sappiamo quanto sia meglio.

    posto che quindi che il mercato del capitale finanziario è un mercato come tutti gli altri, il motivo per cui segua certe dinamiche non è un problema di economia politica, quanto di marketing.

    a meno che non bisogna studiare gli effetti di determinate politiche. su quello specifico mercato. ma non lo vedo differente , ad esempio, dal mercato delle auto.

  16. Libertarian ha detto:

    La teoria economica dice come (non) funziona l’interferenza governativa sull’interesse tanto quanto sul mercato delle auto.

    I dati specifici e i valori numerici sono problemi di tecnica economica, utili per i manager e gli analisti, e non sono teoria economica.

    Non serve sapere se il tasso è 3% o 3.25%, ma occorre sapere cosa è il tasso e come influenza risparmi, investimenti, domanda di moneta, consumi, bilancia commerciale.

    Ovviamente le leggi economiche sono tutte qualitative, non esistendo costanti dell’agire umano.

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